Bruno

“Tutti i viaggi hanno una destinazione segreta, di cui il viaggiatore è ignaro”

Il 5 novembre 2011 si è svolto a Padova il convegno “Prima le mamme e i bambini. Accesso gratuito al parto sicuro e alla cura del neonato” organizzato dal CUAMM, Medici per l’Africa. Il convegno è stata l’occasione per riunire i volontari che nell’arco degli ultimi 60 anni, epoca di fondazione del CUAMM, si sono alternati in ospedali e centri di salute fra Etiopia ed Uganda, fra Tanzania e Mozambico, per testimoniare un’ideale di medicina dedicata ai più bisognosi, quasi sempre in condizioni di disagio e di scarse risorse. Il convegno ha concretamente gettato le basi per iniziative rivolte a proteggere la salute materna in gravidanza e tutelare l’assistenza al parto ed al neonato. Per far nascere un bambino a volte non basta un semplice atto d’amore. Ancora oggi in Africa troppe mamme non hanno la possibilità di dare alla luce il proprio bambino in modo sicuro, mettendo a repentaglio la loro vita e quella dei loro piccoli. Si stima che nei paesi in via di sviluppo il rischio di morire di parto sia di una gravidanza su sedici, un prezzo troppo alto rispetto ai paesi ricchi, dove la morte di parto è un evento eccezionale. L’organizzazione mondiale della sanità ha lanciato la sfida del millennium developmental goal, articolato su 8 obiettivi da realizzare entro il 2015. Gli obiettivi 4 e 5 riguardano la riduzione di due terzi della mortalità materna e infantile, ma le proiezioni al 2011 sono allarmanti, perché solo nell’Africa a sud del Sahara 4,4 milioni di bambini sotto i cinque anni di età muoiono ogni anno per patologie prevenibili e curabili con costi ridotti. Di questi 4,4 milioni di bambini, 1,2 milioni muoiono entro il primo mese di vita, prevalentemente nelle prime 24 ore, e 880.000 nascono morti. L’assistenza qualificata al parto, la rianimazione neonatale, l’allattamento al seno, la cura del neonato dopo la nascita, sono il nucleo di pacchetti preventivi e di cura da erogare in una rete sanitaria territoriale spesso difficilmente raggiungibile.

Forse ci è già capitato di ascoltare i racconti di medici o infermieri, magari pediatri o neonatologi, di ritorno da paesi in via di sviluppo, sradicati per breve tempo dalla tecnologia di una terapia intensiva e catapultati in un ospedale periferico in Africa od in Asia. Proviamo ad immaginare di leggere alcune pagine di un loro diario di viaggio, che forse è stato scritto con regolarità o che forse è solo rimasto impresso nella loro memoria come una fotografia, che al solo guardarla risveglia emozioni a catena.

Saint Luke Hospital di Wolisso, Etiopia Fondato nel 2001 in collaborazione con il CUAMM, l’Ospedale Cattolico di St Luke sorge a 120 Km da Addis Abeba e serve una popolazione di 1 milione di abitanti. La malnutrizione cronica, con le tristemente note gravi carestie che continuano a ripetersi, è uno dei maggiori problemi sanitari del paese pertanto uno degli interventi prioritari è stato da sempre la diagnosi e la cura a livello ambulatoriale e di ricovero dei bambini malnutriti, organizzando una particolare unità di terapia intensiva nutrizionale, ed estendendo le iniziative di prevenzione al territorio, sopratutto per quanto riguarda il monitoraggio della crescita, la supplementazione di vitamina A e per i casi di rachitismo la vitamina D, oltre alla normale attività di vaccinazioni.

10 novembre 2011. La stagione delle piogge è finita, perciò sono iniziate le spedizioni ai villaggi per l’applicazione del programma nazionale di vaccinazioni estensive, oppure per le campagne di istruzione alimentare, in gergo “out-reach and community work”. Raggiungere i villaggi significa addentrarsi nell’altopiano etiopico, oltre gli health center, che rappresentano centri ambulatoriali periferici di primo soccorso, dove è possibile offrire un’alternativa al parto nelle capanne. La strada sterrata acquista progressivamente le caratteristiche di una mulattiera, finchè non diventa un pista nella savana. Dopo circa 2 ore sul fuoristrada ci fermiamo all’ombra di un grande albero dove ci attende l’anziano del villaggio. In breve tempo arrivano donne con un carico di legna da ardere ed i loro bambini, che pazientemente si dispongono a semicerchio. Le vaccinazioni nei paesi in via di sviluppo si inseriscono nel programma dell’OMS che si ispira al concetto di raggiungere gli insediamenti periferici (RED = reach every district), per garantire una copertura vaccinale di almeno 80% in età pediatrica, per quelle malattie potenzialmente mortali, prevenibili con un ciclo completo di immunizzazione.

Dal 1977 il vaiolo è scomparso dalla terra e stiamo per raggiungere l’eradicazione della poliomielite, ma ancora oggi nei paesi in via di sviluppo il morbillo miete vittime con 150.000 decessi ogni anno. Il successo di qualsiasi intervento sanitario non può prescindere da un’efficace implementazione delle vaccinazioni e partecipare agli sforzi per una loro capillare diffusione in spazi così ampi e con tanti bambini che ti circondano, di cui almeno un 30% non arriverà a superare i 5 anni di età per malattie prevenibili, in larga misura correlate con la malnutrizione, richiama alla mente la goccia d’acqua nel mare di madre Teresa. Se le vaccinazioni e l’allattamento al seno sono i presupposti per una sanità di base, l’istruzione igienica ed alimentare sono il passo complementare per contrastare malattie infettive e prevenire la malnutrizione. Fitsum è una giovane assistente sociale ed insieme a Tujube ed Emmawash, ostetriche ed infermiere pediatriche, oggi riuniscono le mamme dei villaggi per insegnare loro come mescolare alimenti diversi ed ottenere un equilibrato apporto di nutrienti.

E’ una dimostrazione pratica che inizia con la benedizione dell’anziano del villaggio, prosegue con il riconoscimento degli ingredienti e si conclude con la preparazione sul fuoco di un porridge che verrà distribuito a tutti i bambini presenti.

Fitsum ci dà un esempio di lezione interattiva, in cui le mamme partecipano alla preparazione del pasto comunitario con le risorse alimentari locali. La dimostrazione si conclude con l’assaggio del porridge e con l’immancabile cerimonia del caffè: se noi italiani pensiamo di avere le ricetta del miglior caffè è solo perché non abbiamo ancora assaggiato quello etiope, tostato, pestato su un mortaio e filtrato in acqua bollente nella jabena, la prima caffettiera della storia.

Al ritorno sosta programmata ma per me inattesa: pranzo collettivo a base di ingera, il piatto tradizionale etiope. E non faccio nessuna fatica a condividere questo pasto frugale mangiato in un unico piatto, senza posate, a sei mani. E’ stata una lezione di nutrizione, o semplicemente una lezione di vita: Amasegenalow, grazie Fitsum.

Bibliografia, o meglio letture che non possono lasciarti indifferente:

  • Il giardino della Luce di Marilyn Berger, per conoscere un medico, Rick Hodes, che ha rinunciato al miraggio americano per vivere con i bambini Etiopi ammalati di tbc spinale
  • Il bene ostinato di Paolo Rumiz, che racconta le storie di una pattuglia di medici italiani emigranti in contesti disagiati per uno spirito di volontariato che non ha frontiere.

Bruno Mordini