Al cimitero italiano

Ovvero i ricordi di un’adolescente vissuta ad Addis Abeba prima del Derg

In una timida giornata di sole d’ottobre mi ritrovo ad esplorare nuove strade e ad accompagnare l’amica Iside al cimitero italiano, nel quartiere di Gullallè, per portare un fiore sulla tomba della madre morta in Etiopia ormai da tempo.

Nel grande cimitero, a fianco della zona italiana, sono disseminate le tombe armene e dall’altra parte di un muro, si intravede il cimitero greco.

Arrivano rumori dalla città, il frastuono dei camion e dei clacson, ma predomina il cinguettio degli uccelli, lo stormire delle fronde. Ondeggia qualche cipresso, raro qui e piantato appositamente dagli Italiani a ricordare la sacralità del luogo; macchie gialle di ginestre, fiori selvatici viola, bianchi e rosa sparsi tra le tombe, creano un disordine fiorito che dà allegria ad un posto di per sé così mesto. Non c’è silenzio, ma sembra che tutto parli di pace.

Tra le lapidi, la foto di una giovane donna: la mamma di Iside. Anch’io mi commuovo insieme alla mia amica che rivede dopo tanto tempo la sua mamma, morta giovane, col sorriso… Era figlia di Greci e meticci d’altri tempi, quando al Circolo Italiano non ti guardavano bene se nelle tue vene scorreva sangue etiope; quando ancora la presenza italiana ed europea era forte e si trovava in giro una gran varietà di generi e prodotti; quando ai posti di dirigenza c’erano dei ‘bianchi’ voluti da Haile Selassie per modernizzare il paese e l’Etiopia post-coloniale ‘funzionava bene’.

Dalla memoria di Iside, sfumata dall’affetto, riaffiorano ricordi di una bambina di circa cinque anni. Immagino la sua giovane madre dai preziosi tratti greci con una punta di mescolanza etiope, mentre in un mezzogiorno abbagliante, tra i finti banani del giardino dietro casa, tra gli eucalipti aromatici e le rigogliose ortensie azzurre, s’incamminava per chiamare la figlioletta che giocava, dimentica del tempo, nella casetta di legno fatta per lei. Oppure le corse di Iside con il fratello cercando di acchiappare le galline livornesi, ciascuna chiamata per nome, volute dal papà come animali domestici da compagnia più che da stufato. E le scorribande in fondo alla via lastricata di grosse pietre sconnesse, fino alla casa con i ballatoi di legno dei signori Bertolini, anche loro ritornati in Italia dopo l’avvento del Derg nel ‘75, quando la vita e il lavoro erano diventati praticamente impossibili per gli stranieri residenti ad Addis.

Vicino alla tomba della signora Reale, in un recinto di ferro, si trova il cimitero militare italiano, tante tombe allineate, come in plotone, con la data degli anni ‘36-‘37. Ragazzi morti per un ideale di grandezza, senza vera ostilità nei confronti degli Abissini, ma guidati da generali feroci. Tra questi soldati c’era anche il padre di Iside: alpino della brigata Pusteria. Dopo la fine della guerra, il giovane Ubaldo fu nascosto da degli Etiopi e sottratto così alla dura rappresaglia degli Inglesi. Rientrato nei cinquecento Italiani graziati dall’imperatore, a cui fu concesso il diritto di fermarsi, decise di tentar fortuna in Addis. Cominciò come autista, poi comprò un camion suo e continuò a girare le nuove strade d’Etiopia divenuto uno dei tanti padroncini europei. Le cose andarono bene e successivamente aprì una ‘gommeria’ con altri soci italiani.

Vicino al cimitero militare italiano si apre la zona dedicata ai soldati inglesi, quasi un’ironia, quasi una pace finalmente fatta, dopo la guerra che cacciò gli Italiani dalla terra d’Abissinia e che decretò lo svanire del sogno di una colonia appena conquistata.

Continuiamo pigramente il ‘giro della memoria’ e ci addentriamo nel cimitero armeno, il più antico di tutta l’area. Certo, gli Armeni, assieme ai Greci, grazie anche all’affinità religiosa con gli ortodossi d’Etiopia, sono stati tra i primi coloni di questa terra. I Greci arrivarono già alla fine dell’800 e si affermarono nella produzione di laterizi. Gli Armeni approdarono in Etiopia in un certo numero dopo la diaspora e dopo il genocidio del 1915-16 e vennero accolti dal nuovo imperatore che diede loro la cittadinanza etiopica.

Tra le tombe in pietra scura, che riproducono decorazioni e motivi liberty, leggiamo date di morte del 1912, ’18, ’41, ‘50… Le lapidi riportano scritte in caratteri armeni e nomi impronunciabili. Le poche foto rimandano espressioni severe, nasi importanti, acconciature e vestiti di altri tempi.

Ci sediamo su un sedile di pietra con i braccioli a ricciolo, sotto dei ginepri che qui fungono da cipressi e Iside riprende il racconto della sua storia, la corrente fluttuante di un passato non così lontano nel tempo ma lontano nel vissuto, nel cambiamento della città e nelle nostre storie collettive.

Nata ad Addis, seconda di quattro fratelli, quando sua madre aspettava il terzo figlio, Iside fu spedita in Italia, in Liguria, dai nonni, ad appena cinque anni, per avere attenzioni tutte sue e poter seguire una scuola migliore. Tornò però ad Addis, riunendosi alla famiglia, nel ‘65 per completare le scuole medie e frequentare il liceo francese. Furono questi gli anni più sereni, vicino ai suoi cari, in una comunità, quella italiana di Addis, provinciale e ristretta, seppur numerosa e nutrita, che, assieme a quella armena e greca, era una delle comunità straniere più consistenti e presenti: contava allora circa cinquecento mila individui.

Merceria Elda_Via GandhyA nord di Addis, tra Gullalè e Piazza, dove le aiuole alternano giacarande ad alberi del pepe dalla fragranza orientale, lungo la strada scorrono ancora vecchie case coloniali, spesso in decadenza, costruite in muratura, a due piani, dipinte a colori pastello, con gli infissi di legno quadrettati, con le verandine in legno scuro. Resti di case italiane, in ‘stile coloniale’, come viene appunto definito. Gli Italiani si stabilirono in quella zona anche prima dell’avventura dell’Africa Orientale Italiana, già con i primi coloni provenienti dall’Eritrea. Erano commercianti, artigiani che avevano avviato attività, piccole industrie o botteghe manifatturiere.

La Piazza, originaria sede del mercato indigeno di Arada, era il centro della vita. I negozi ospitati in edifici erano sempre stati di stranieri e, quando Mussolini decise di spostare il mercato locale nella vasta area di Merkato, la nuova Piazza si sviluppò come quartiere residenziale delle comunità armena, greca e italiana, lì già presenti. Ci sono ancora alcune di queste vecchie case anche nella zona armena e greca: scale esterne e ballatoi in legno, tetto mansardato e inserti a graticcio; come le vecchie case turche che si affacciano sul Bosforo.

Nel ‘36, alcuni italiani si sono trasferiti nel quartiere di Kasanchis, luogo climaticamente più favorevole. Il nome deriva dalla storpiatura di ‘case INCIS’ (Istituto Nazionale per le Case degli Impiegati dello Stato): un’istituzione fascista che si occupava di provvedere residenze agli impiegati statali. Anche in Etiopia hanno studiato un luogo adatto, i materiali presenti, l’esposizione, impiegando l’ingegno che ci ha contraddistinto nelle grandi ‘opere coloniali’. Altri Italiani hanno alloggiato nelle case popolari costruite vicino alla stazione, non lontano dalla nuova via Mussolini, ora Churchill road.

Dai ricordi intermittenti di Iside che corrono alla sua giovinezza fiorita negli anni ‘60-‘70, riemergono visite all’ospedale italiano in stile littorio, ancora in funzione, il passeggio domenicale nella piazza dopo la messa alla chiesa della Consolata o di san Salvatore, le donne col vestito della festa, gli uomini con la paglietta in testa. E poi la sosta all’elegante bar Gheorghis o al bar Venezia, dove la madre di Iside lavorò quindicenne e dove conobbe il suo Ubaldo. O qualche acquisto alla rifornita pasticceria Enrico; quella è ancora al suo posto, con la scritta nera e oro anni ‘60, i banchi di vetro con i profili di metallo e legno, i tavolini tondi e le sedie in alluminio, il dolce olezzo delle paste italiane… tutto fermo al tempo di quegli appuntamenti della festa. E ancora: la mamma che andava a comprare bottoni, biancheria intima di qualità e bordure delicate alla ben fornita merceria Elda, dove i banchi col piano di vetro profumavano di sapone e infiniti cassettini di legno riempivano la parete dietro le spalle del commesso con appiccicati qua e là, in ordine, alcuni campioni del loro fine e prezioso contenuto.

Addis Abeba- Nel boscoAd un tratto però la mia amica si rabbuia davanti al ricordo di un’impiccagione pubblica di alcuni assassini, lì, sulla strada, tra i venditori di frutta e di ingera, vicino alla scuola italiana dove frequentava la terza media; e ancora nel ripensare alla paura ad uscire di casa nei giorni delle commemorazioni delle vittorie contro gli Italiani perché potevi venir apostrofato con l’offesa ‘sollato fascista!

Triste il destino di Iside che fu rimandata in Italia per frequentare l’università, costretta a lasciare un ragazzo conosciuto da poco, per perdere pochi mesi più tardi la madre in un terribile incidente stradale di ritorno da Nazareth dopo una grigliata tra parenti nella loro casa di villeggiatura.

Tornò ad Addis allora, dopo il funerale della donna, ma il suo destino era già segnato: il senso della mancanza di una madre ritrovata tardi e persa troppo presto; un padre così disperato da perdere il senno; un ragazzo incontrato da adolescente e sposato per disperazione e illusione d’amore; un figlio avuto prestissimo e infine la fuga dopo la rivoluzione e l’affermazione del dittatore comunista che fece in modo di ripulire la città da tanti, troppi stranieri ricchi e detentori di poteri diversi. Molte attività commerciali furono nazionalizzate, i proprietari rimasti furono costretti ad addestrare il nuovo personale etiope. La comunità italiana si ridusse parecchio ma, a detta di alcuni, i legami si saldarono e la solidarietà era palpabile.

Iside ha una storia come tanti qui, ma con delle particolarità che la rendono comunque unica: nata ad Addis Abeba ma ritornata in Italia più volte, per vari motivi, ora di nuovo nella capitale etiope. Dov’è la meta del peregrinare della sua vita, Iside ancora se lo chiede e intanto, equilibrista tra passato e presente che si richiamano e si compenetrano, aprirà tra poco il suo ristorante: una nuova avventura tra Italia ed Etiopia, una nuova esperienza da raccontare, questa volta però tutta protesa verso il futuro.

Chiara Lonardi